08 febbraio 2017

L’ITALIAN SOUNDING NELL’AGROALIMENTARE

Dagli inizi degli anni 90, si è andata consolidando sulla West Coast, negli Stati Uniti,  una nuova classe sociale costituita da ricchi provenienti dall’Estremo Oriente, per lo più dalla Cina, che sintetizzavano il loro status con la seguente  frase, “Vesto francese, guido tedesco e mangio italiano”.
Il nostro patrimonio agroalimentare è unico al mondo, sia per qualità che  per assortimento e la cultura gastronomica italiana è apprezzata dai consumatori di molti paesi. Ne consegue che all’interno di questo business si è sviluppato un mercato parallelo che utilizza nomi, immagini, disegni e modi di dire italiani o italianeggianti, per identificare prodotti che evocano l’Italia, soprattutto nel settore agroalimentare, ma realizzati effettivamente in altre parti del mondo,  facendo leva sulla superficialità di un consumatore distratto o a volte sprovveduto.
Risultati immagini per italian soundingQuesto fenomeno è conosciuto come “Italian Sounding”. Ovviamente si tratta di una colossale truffa perpetrata ai danni dell’industria alimentare italiana, a cui  sottrae in modo illegittimo, grosse quote di mercato.

Negli USA producono il Parmesan, in Brasile si consuma il Parmesao e in Argentina il Regianito, prodotti che ovviamente nulla hanno a che fare con le produzioni originali. Personalmente ho bevuto durante una cena a New York un vino “Don Vito”, anche il cattivo gusto incombe, prodotto in California, pagato se non ricordo male $30 la bottiglia. Era un rosatello dal gusto indefinito, tendente all’acidulo, ma la cosa comica, anzi tragica è che i commensali americani commentavano la bontà di quel vino, credo in parte perché non conoscano il  vino e proprio per lo stesso motivo, sono fortemente condizionati dall’equazione, è italiano, o almeno sembra tale, quindi è buono!
L’italian sounding è il business dell’imitazione.  Si pensi che a fronte dei 20 miliardi di euro di prodotti alimentari italiani esportati mediamente in un anno  ne circolano nel mondo circa 60 relativi a imitazioni di scarsa qualità, vendute ad un prezzo più contenuto. Questo significa che sugli scaffali dei supermercati di tutto il mondo per ogni barattolo di salsa o di pomodoro pelato “autentico”, per ogni pacco di pasta o confezione di olio extravergine nostrani ne esistono 3 che traggono in inganno i consumatori sfruttando l’immagine, i colori, le marche e le denominazione italiane già citate.
Le cose peggiorano nel mercato USA.  Il mercato nord americano sviluppa complessivamente 24 miliardi di euro
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 di fatturato “Italian Sounding” a fronte di un export dei prodotti alimentari autentici pari a circa 3 miliardi di euro: significa che solo 1 prodotto alimentare su 8 è veramente italiano.

In Europa invece il business dell’imitazione tocca complessivamente i 26 miliardi di euro contro un export alimentare che vale circa 13 miliardi di euro, quindi per ogni prodotto autentico ne esistono 2 falsi.
Nel Nord America sono i formaggi i prodotti più copiati: Stati Uniti e Canada generano da sole il 40% del fatturato totale dell’Italian Sounding alimentare. Le cifre di questo fenomeno, che colpisce uno dei settori cardini dell’export alimentare italiano, il lattiero caseario, sono davvero eclatanti: solo il 15 % dei formaggi presentati come italiani in Nord America è autentico. In particolare sono imitati il 97% delle mozzarelle e dei provoloni, il 96% del parmigiano reggiano grattugiato e il 95% delle ricotte. Leggermente meglio, si fa per dire, la fontina che è falsa “solo” in 8 casi su 10 (81%)
Concludono questa triste carrellata l’Asiago che nel 68% dei casi è solo una brutta copia del tipico formaggio italiano e il Gorgonzola, falso 1 volta su 2 (54%) negli scaffali dei supermercati. Fa eccezione il solo Grana Padano che è l’unica voce di prodotto che è stata rilevata a maggioranza autentica.
Per vincere la battaglia dell’Italian Sounding, credo che occorrerebbero degli strumenti, per così dire istituzionali, ma nel loro piccolo, anche le aziende possono avere un ruolo non secondario. Strumento di marketing fondamentale è il packaging. E’ bene dedicare, una confezione unica ed esclusiva ai mercati internazionali, il che non significa che i mercati internazionali vanno affrontati con un unico packaging, tutt’altro, significa che i singoli mercati vanno affrontati con una packaging e con una politica di penetrazione che varia in funzione del singolo mercato.
A mio mo
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do di vedere, solo una sana e intelligente politica di Marketing ragionata e calata su “ogni singolo paese” può fare la differenza, evitando la maldestra dicotomia Italia –Estero, pensando che quello che va bene per un paese “estero” va bene per tutti.

L’origine italiana va convenientemente valorizzata, poiché costituisce da sempre un punto di forza sensibile.
Competere nel mondo significa anche  sapere abbinare l’eleganza del packaging all’efficacia della comunicazione  di un autentico prodotto italiano. Il packaging deve raccontare la storia dietro al prodotto, le materie prime utilizzate, proporre ricette per utilizzarlo. In altre parole, un packaging efficace è quello che valorizza attraverso le storie l’unicità del prodotto e offre spunti ‘razionali’ sui motivi per cui la produzione in Italia aggiunge valore.
Siamo convinti, non so poi per quale motivo, che nel mondo si conosca bene la cucina italiana, ma  non è così; ho visto fare gli spaghetti mettendoli direttamente nell’acqua fredda e portandoli in  ebollizione insieme all’acqua, spaghetti triturati con il cucchiaio, conditi con il ketchup e salati al momento.
Diamo delle indicazioni sul nostro packaging  su  come si cucina in Italia. Questi sono elementi di differenziazione del prodotto che difficilmente, coloro che ci fanno concorrenza sleale con l’Italian Sounding, saprebbero dove mettere le mani.
Articolo pubblicato su innovazionecambiamento.it